Marsia e i pericoli del virtuosismo


Chissà quale curioso fato ha condotto in un luogo così fuorimano, come la cittadina di Kromeriz nella Repubblica Ceca, il sublime dipinto Apollo e Marsia, compiuto da Tiziano tra il 1570 e il 1576.

È la rappresentazione di un episodio della mitologia greca, la morte per scorticamento del sileno Marsia che aveva osato sfidare Apollo in una gara di abilità musicale. Sileno è un essere mitologico rappresentato in forma umana, talvolta con orecchie, coda e zoccoli di cavallo.

Il mito racconta che un giorno la dea Atena, dopo aver inventato l’aulòs (un flauto a doppia canna), è invitata a suonarlo in un convivio di divinità olimpiche. Soffiando nello strumento, il gonfiore delle guance le provoca una grottesca deformazione dei lineamenti del viso che suscita l’ilarità di Era ed Afrodite, da sempre sue rivali in bellezza.

Molto irritata, Atena getta via, maledicendolo, il flauto che, raccolto prontamente da Marsia, rivela in lui pregevoli doti musicali. La vanità, così, spinge il sileno a sfidare Apollo in una gara musicale in cui ha presto la peggio non avendo calcolato l’astuzia del dio e i suoi celebri stratagemmi.

La punizione per la superbia di Marsia è terribile, una vera tortura, così descritta nel VI libro delle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone:

Qualcuno ricorderà il satiro che suonando il flauto, inventato dalla dea del Tritone, fu sconfitto in una gara e punito dal figlio di Latona. Gridava “Perché mi scortichi?” “Ahi mi pento! Il flauto non valeva tanto!” Urlava mentre gli veniva strappata la pelle da tutto il corpo e non c’era che un’unica ferita: il sangue colava ovunque, i muscoli restavano visibili, le vene pulsanti brillavano senza più un lembo di carne; si sarebbero potuti contare le interiora palpitanti e le fibre traslucide sul petto. Lo piansero i Fauni campagnoli, le divinità dei boschi, i satiri suoi fratelli, l’Olimpo a lui caro, assieme a quelli che su quei monti pascolavano greggi lanute e mandrie cornute. Il suolo fertile s’inzuppò delle lacrime che cadevano raccogliendole e assorbendole fin nel profondo delle proprie vene; poi le convertì in un corso d’acqua, riversandolo all’aria aperta. Così quel fiume che da lì scorre tra le rive in declivio verso il mare ondoso, fu chiamato Marsia, il più limpido fiume della Frigia.

Sulla pena di Marsia esistono molte interpretazioni storico – filosofico – teologiche e innumerevoli versioni artistiche. Oltre che a Kromeriz, infatti, ritroviamo opere su questo tema in famosi musei, ma anche in luoghi sparsi ai quattro punti cardinali del mondo e sotto forme d’arte molteplici e di epoche diverse.

Dall’idilliaco Atena e Marsia, vaso proveniente da Canosa di Puglia in cui Atena si specchia mentre suona l’aulòs, conservato al Museum of Fine Arts di Boston, al Luca Giordano di Apollo e Marsia al Museo Bardini di Firenze che, in un’immagine decisamente pulp, mostra un avambraccio del povero, agonizzante, Marsia scuoiato e sanguinante.

La monumentale statua che decorava gli Horti di Mecenate, ora ai Musei Capitolini, rappresenta invece il sileno legato ad un albero. Nei lineamenti del volto, alterato dalla paura e dal dolore, tutta la sofferenza del supplizio, sottolineata anche attraverso le venature del marmo pavonazzetto che evidenziano con grande realismo le fasce muscolari in tensione. Alla Pinacoteca Capitolina si ritrova lo stesso soggetto riprodotto in una bella porcellana policroma: un disperato Marsia tenta invano di sottrarsi ad un Apollo che, con tutta tranquillità, si appresta a scuoiarlo. Altro momento del mito è rappresentato al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco. Si tratta della Testa del Sileno Marsia in marmo pentelico, copia da originale greco derivante da un famoso gruppo statuario creato da Mirone. Questa volta il sileno è colto mentre, con fare sorpreso e ignaro delle conseguenze nefaste, sta per appropriarsi del flauto gettato via dalla dea Atena.

Ritornando in piazza del Campidoglio, gli appassionati di mitologia possono soddisfare molte curiosità, visto che altre divinità ed eroi tengono buona compagnia alle opere citate. Come la scultura di Amazzone ferita firmata da Sosikles nel Salone di Palazzo Nuovo insieme all’Apollo attribuito allo scultore Kalamis e alla statua di Arpocrate, proveniente dalla Villa Adriana di Tivoli.
Molta bellezza e altre avvincenti storie.