Teatro delle muse


Un’origine davvero regale quella della musa Polimnia, figlia di Zeus, padre degli dei e signore dell’Olimpo, e Mnemosine, la memoria che diventa divinità. Anche solo per vedere lei nella Sala delle Caldaie, la Centrale Montemartini vale una visita.

Qui, nell’imponente scenografia industriale e nel permanente odore di olio e ferro, se ne sta la giovane Musa di marmo pario, in atteggiamento sognante, avvolta nel proprio mantello e appoggiata ad un pilastro di roccia. È stata nascosta in un antico cunicolo in via Terni fino al 1928, ma l’umidità non sembra averle nuociuto troppo. La mano destra avvolge a sé il mantello, non per difendersi dagli sguardi quanto piuttosto per isolarsi in solitudine e osservare senza svelarsi. Lo sguardo pensoso non rivela nulla della sua identità, solo la mano sinistra, ora vuota, ne suggerisce il mitico ruolo:  forse, un tempo, stringeva un rotolo di papiro, simbolo della sua arte.

Gira le spalle alle caldaie che alimentavano la Centrale, anch’esse ormai immobili e ricordo del passato, e a due magnifiche e melanconiche rappresentazioni scultoree di Pothos, desiderio dell’amore lontano. Se potessero voltare il capo, si accorgerebbero della Statua di fanciulla seduta di marmo pentelico che sembra attendere tranquillamente qualcuno, forse tornando con la mente alla splendida villa dell’imperatore Licinio Gallieno all’Esquilino dove una volta abitava, nel tempio di Minerva Medica.

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